domenica 11 febbraio 2018

Sherwood Anderson con Nicola Manuppelli

1. “Storia di uno scrittore di storie”, di Sherwood Anderson, trad. Nicola Manuppelli, Mattioli 1885, 2015, € 15.90
Per ulteriori informazioni cliccate pure qui

2. Il primo volume che ho acquistato di Sherwood Anderson è stato "Riso nero" (Cliquot, 2016, trad. di Marina Pirulli). 
Poi mi sono ritrovato a parlare dell'autore con Andrea, magico libraio della Libreria Volante di Lecco, perché era mia intenzione portare a casa, appunto, anche questa “Storia di uno scrittore di storie”. Cosa che ho fatto, non mancando però di seguire il suo consiglio e di leggere anche "Winesburg, Ohio" (Einaudi, 2011, trad. di Giuseppe Trevisani), che era stata fino a quel momento una mia grande lacuna.
Alla fine devo ammettere che è inutile fare gli gnorri: chi ama la scrittura non può perdersi questa bellissima traduzione di Nicola Manuppelli, prima conosciuta con il titolo "Storia di me e dei miei racconti" (nella traduzione di Fernanda Pivano). Cioè la storia di  Sherwood Anderson che si è fatto prima lettore, poi maestro di se stesso, quindi scrittore innovativo, e di conseguenza punto di riferimento per i grandi a venire.  
La narrazione è suddivisa in quattro libri, a loro volta suddivisi in "Note", il che non toglie di dosso al lettore quel senso di disorganizzazione apparente.
La scrittura ha l'effetto di un mulinello. Per niente lineare, straripa di salti in avanti e indietro nel tempo, trascina verso l'alto attraverso una serie labirintica e allo stesso tempo inappuntabile di "ora", "proprio ora", "in quel tempo", "in questo momento".
Veloce, alla fine  lascia il lettore steso, inebriato, tuttavia con l'incredibile sicurezza di aver compreso fino in fondo le mutazioni di tutti quegli "io": «l’io del presente e l’io del passato, e poi, ancora e in esposto conflitto, il me stesso dell’immaginazione e quello reale». Tanto che alla fine viene da chiedersi  "Come ho fatto a stargli dietro?"
Ho capito una cosa durante questa intervista: Sherwood nderson e il suo traduttore, Nicola Manuppelli, hanno qualcosa di grosso in comune: l'idea chiara di cosa hanno sempre voluto fare nella vita, ossia nutrire la propria Passione per i libri, le parole, le storie.
Durante la video-chiamata N. M. spiccava sullo sfondo di una libreria bianca super farcita, verso cui rivolgeva lo sguardo ogni volta che gli veniva in mente una citazione, o un autore che si ricollegasse a quanto stava dicendo, e si vedeva che sfogliava i suoi volumi con la mente...




1TsS.: 

Ricorriamo ancora una volta all'aiuto di un valido traduttore per arrivare al cuore di un autore anglo-americano - Sherwood Anderson. Di Andreson tu hai curato la traduzione per Mattioli1885. Ma prima vorrei che ti presentassi. Tu non sei solo traduttore, ma anche autore; o forse dovremmo dire che non sei solo autore, ma anche traduttore... Insomma, chi sei? Cosa fai?

N.M.: 

Be', io mi sento un po' un outsider della traduzione, anzi non mi sento un traduttore in realtà, perché ho fatto un percorso diverso. Provengo dall'antropologia e i miei primi colloqui, le prime chiacchierate sulla letteratura americana, sia con gli editori sia con autori anglo-americani le ho fatte in veste di persona che scrive, che scrive storie. Essendo inoltre un lettore appassionato di letteratura americana, un giorno, parlando con un editore, mi è stato proposto di lavorare a un'antologia che parlasse di luoghi della letteratura americana. La mia esperienza con l'inglese era un po' da autodidatta, era fatta di letture di opere americane in lingua originale. Dopo la laurea, ho tentato molte strade, e alla fine ho dovuto ingegnarmi. Sapevo solo che mi piaceva lavorare con i libri, e così ho cominciato a scrivere, a buttare giù qualche idea [rif. all'antologia], ma senza alcuna risposta dai giornali e dagli editori, quelli italiani. Le cose sono cambiate quando mi sono rivolto a editori o agenzie americane, come Amanda Urban eccetera... Quando scrivevo una e-mail a un americano, magari anche in un inglese un po' stentato, dopo un paio d'ore ricevevo una risposta; e se mi rispondevano dopo un giorno si scusavano per il ritardo con cui mi avevano risposto! [...] Così ho iniziato a lavorare a questa'antologia dedicata agli autori di Stanford, anche con l'aiuto e la gentilezza di persone come, per esempio, la moglie di Carter, e ad avere contatti con il mondo dell'editoria. Finché un giorno ho proposto all'editore Mattioli la pubblicazione di un autore americano, che però non faceva parte del giro di Stanford, e l'editore mi ha chiesto: ti va di tradurlo...? E io, che credevo di non averlo mai fatto prima, mi sono reso conto che in realtà lo avevo sempre fatto e ho accettato. Così ho cominciato a fare lo scout letterario.

1TsS.: 

E poi è arrivato Sherwood Anderson. Di lui si dicono molte cose, tipo che abbia influenzato molti autori americani come Faulkner, Steinbeck... E ho trovato questa nota in una intervista rilasciata proprio da Falkner al The Paris Review "Fin dall'inizio ho trovato che scrivere era piacevole. Avevo persino dimenticato che non vedevo Anderson da tre settimane, quando egli si presentò a casa mia [...] e mi disse 'Cosa c'è che non va? Sei arrabbiato con me?'. Gli dissi che stavo scrivendo un romanzo. 'Mio Dio' esclamò, e se ne andò via. Quando ebbi terminato il libro [...] incontrai la signora Anderson per strada. [...] E lei mi disse: 'Sherwood le fa sapere che vuole stringere un patto con lei. Se non lo obbliga a leggere il suo manoscritto, consiglierà al proprio editore di pubblicarlo', Le risposi: 'D'accordo'. Ecco come sono diventato uno scrittore".
In questo volume che tu hai tradotto hai notato, al contrario, dei riferimenti ad autori o ad alcune letture che forse Anderson aveva fatto e che possono averlo influenzato, a parte quelle nominate da lui stesso? 

N.M.: 

Anderson è uno scrittore particolare. La cosa che mi ha colpito di lui non è solo l'influenza che ha avuto su altri autori. Tu hai citato Faulkner, ma un altro caso potrebbe essere Hemingway. Anche se Hemingway era... uno stronzo! [ride di cuore] Nel senso che Hemingway ero uno che sfruttava molto gli altri autori di talento; frequentava quelli più in voga, assimilava molto dagli altri, e quando capiva di non aver altro da imparare spariva, o li ridicolizzava. 
[ride ancora] ...Si nota che non amo particolarmente Hemingway...? [ride]
A ogni modo, al di là di Winesbrug Ohio, Anderson ci ha regalato questo capolavoro che rientra in una corrente letteraria americana che è molto forte oggi - un'autobiografia che alla fine contiene un sacco di balle! Inventarsi delle cose, mischiare la realtà col sogno, l'immaginazione. Ci sono molto noir attuali costruiti su questo procedimento. L'obiettivo della letteratura alla fine è l'intrattenimento.
1TsS.: 

Però, scrivendo quest'opera Anderson avvisa il lettore, in qualche modo, ogni volta che è sul punto d'inventare, no? Non fa che chiedersi: ma questo l'avrò sognato? Oppure: chissà se sto ricordando bene quello che sto raccontando...? Oppure: ma sarà poi andata proprio così...?


N.M.:


Esatto. Perché è un po' come A.B. Guthrie... Sì, credo fosse lui che affermò che non è vero che uno scrittore deve raccontare la verità, o solo quello che conosce, ma deve raccontare il sentimento che conosce. Se ci pensiamo, quando Van Gogh dipingeva una stanza, quella stanza era totalmente "non reale", però il sentimento di quella stanza lo era e come! Quindi, se io racconto la mia vita la cosa più reale che posso fare è raccontare il sentimento della mia vita. Ecco perché il realismo a volte finisce per essere un danno: il continuare ad attenersi a qualcosa fa della situazione una prigione; parole e situazioni diventano prigioni. Invece, interessante è usare la poesia, nel senso etimologico del termine, cioè usare la parola per creare, appunto. E quando tu crei qualcosa, quel qualcosa può essere... tutto! Per esempio, il mio sogno nel cassetto è scrivere, io Nicola Manuppelli, l'autobiografia di Nicolas Cage! Capito? Proprio raccontarla io, in prima persona! 

[scoppiamo a ridere tutti e due] 



1TsS.: 


[ridendo a crepapelle] ...Perché? Ma perché?



N.M.:


Be', se ci pensi, uno così, come Nicolas Cage intendo, è letteratura pura, puro divertimento, intrattenimento!

1TsS.: 

Eppure, prima di cominciare questa intervista mi dicevi che negli USA Anderson non è così popolare, nel senso di noto, come in Italia. Ho capito bene?



N.M.:



Oh no, non intendevo proprio questo. Anzi. Però mi è capitato di parlare con autori americani e quando è venuto fuori che avevo tradotto, ma anche solo letto Anderson, mi hanno detto: ma chi? Sherwood Anderson?! Perché è considerato un autore provinciale, arcaico rispetto ad altri autori e nonostante le influenze che ha avuto e di cui abbiamo parlato prima. Un po' come E. L. Master, che per noi è un poeta classico e invece per loro è un po' un minore in mezzo a tanta poesia americana che qui da noi non è mai arrivata. Almeno questo è quello che mi è sembrato di capire...


1TsS.: 



Io invece l'ho trovato molto attuale. Fa un continuo riferimento alla fuga da situazioni diverse da quelle che si stanno vivendo, anche in ambito lavorativo, e mi ha ricordato molto i discorsi di oggi sul down-shifting, ossia il voler lasciare una situazione lavorativa che rende tanto per dedicarsi a qualcosa che piace davvero, ma che rende meno in termini economici. Ricordiamo che Anderson era diventato un imprenditore importante e poi un giorno ha lasciato tutto per dedicarsi alla scrittura. Detto questo, c'è una sua citazione che legge: "Non è forse già accaduto nella nostra epoca che lo slancio verso fini puramente materiali diminuisse...?"

Allo stesso modo, Anderson fa spesso elogi dei lavori manuali, e considera la stessa scrittura un lavoro artigianale.

Tu come consiglieresti a noi lettori di approcciare un autore come Anderson? Come va letto Anderson? 



N.M.:



Non solo la scrittura è qualcosa di artigianale, ma anche la lettura lo è. E allora mi è venuto in mente qualcosa che ha detto ,che in un'intervista alla domanda "Come si scrive un libro?" ha risposto "Una parola per volta". Stessa cosa: come si legge un libro? Una parola per volta. Ma, vedi, ci sono due modi di rispondere a questa domanda. Nell'approcciare Anderson [si guarda intorno] io inizierei da qualche suo racconto, non necessariamente da Winesburg Ohio, ma per esempio da "L'uomo che diventò donna", che credo sia uno dei racconti preferiti di Philip Roth. E poi da qui passerei a questa sorta di autobiografia, che può essere un ulteriore rimando... Sono belli i libri che ti danno altri spunti per ricollegarti ad altri, e ti fanno creare così una specie di mappa... Fra gli autori americani ci sono molti rapporti, sono legati fra loro dai luoghi, dalle citazioni, c'è molta generosità in questo. Si creano dei link, capisci?, dei legami incredibili. Ecco, forse questo è qualcosa che a noi manca davvero, sia nella letteratura che nel cinema. Io ieri sera ho visto il film "The Post" che finisce esattamente dove poi inizia "Tutti gli uomini del Presidente" e tu puoi collegare un sacco di film americani e ricostruire la storia americana solo con i film. Stessa cosa con la letteratura: che cosa è successo a Gatsby prima di essere Gatsby? Be' che, potrebbe essere Ripley di Patricia Highsmith, che è praticamente un personaggio precedente, anche se è stato scritto dopo, potrebbe essere quello che ha fatto Gatsby in quegli anni, cambiare identità! ...Insomma, si può creare un romanzo enorme, semplicemente collegandoli l'uno da uno all'altro. E così funziona anche con Anderson. L'importante è avere rispetto del libro. Se vedi che ti diverte, come qualsiasi libro, lo continui, se no, no. Credo che a volte dover leggere un libro, o un autore, diventi la rovina di quel libro o di quell'autore. Io per esempio abolirei la letteratura dalle scuole per fare sì che diventi puro svago...

1TsS.: 

Potrebbe essere un'idea, perché no? 
Ho letto sulla tua pagina Facebook un commento all'ultimo romanzo di Don Winslow, in cui dicevi qualcosa del tipo: ecco la vera letteratura! Qualcosa che non sia montato ad arte, e non sia troppo costruito. Un po', credo, come la letteratura di Anderson che all'apparenza è così improvvisata, senza quasi un filo conduttore... La mia domanda è: credi che servano a qualcosa le scuole di scrittura creativa che stanno proliferando in questo periodo?

N.M.:

[è titubante, ma lo sguardo rimane pur sempre schietto] 
La scuola di scrittura è qualcosa d'interessante, perché vedi, una cosa è studiare la letteratura italiana come ce la fanno studiare a scuola, sulle antologie che mettono insieme anche 300 autori, quelli ritenuti più importanti, sapendo che poi, alla fine, sono così importanti che riuscirai a dedicare al massimo 2 giorni ciascuno, un'altra cosa è fare letteratura, per cui potresti prendere anche solo un'opera e per quell'anno lavorare solo su quella, per poi ricollegarti ad altre. In Italia abbiamo un sacco di opere con cui sarebbe possibile farlo. Si potrebbe partire da Petrarca e arrivare a Collodi, per esempio. Personalmente eviterei Manzoni che non mi piace [ride] 
Io credo che, ecco, la traduzione sia una buonissima scuola di scrittura creativa, molto interessante: io traducendo ogni giorno imparo qualcosa; così lo è anche la lettura. La lettura vera, attenta.
Per il resto, non ho frequentato scuole di scrittura perché mio padre è un operaio e mia madre un'insegnate, per cui per vivere ho dovuto prima lavorare, come tutti.
L'importante credo che sia cogliere sempre e comunque il lato artigianale della letteratura, che rimane tale finché non fai letteratura per hobby, ma finché fare letteratura rimane una necessità.

   
Toni sopra: ****
Selezione di alcune fra le citazioni riportate sul mio diarioa) "La vista di una enorme pila di fogli su cui scarabocchiare delle parole mi ha sempre riempito di gioia. Il risultato di tutto questo scrivere, il racconto perfettamente equilibrato, compreso in ogni suo elemento, realizzato in modo perfetto attraverso un numero infinito di minuscoli accorgimenti, la forza di un’autocritica pienamente esercitata (...) tutto questo per me appartiene a un sogno, a un giorno confuso e lontano verso cui ci si dirige sapendo che non si arriverà mai, ma infinitamente felici di essere in cammino";   b) "Il giorno della riscoperta dell’uomo da parte dell’uomo può non essere lontano come immaginiamo. Non è forse già accaduto, nella nostra epoca, che lo slancio verso fini puramente materiali diminuisse?"; c) "Il sogno che mai diventa un fatto nella vita può diventare un fatto nella fantasia"; d) "Io sono quello che racconta storie e si siede accanto al fuoco in attesa di qualcuno che lo ascolti, l'uomo la cui vita si giostra nel mondo delle sue fantasie, quello che è destinato a seguire le piccole parole contorte dei discorsi degli uomini  attraverso gli inesplorati sentieri delle foreste della fantasia. Sono destinato a diventare quello che mio padre avrebbe dovuto essere"; e) "(...) ragazzino com'ero - capii come potesse accadere quella cosa strana e inspiegabile che è un omicidio. Non fu un pensiero ben definito, ma dopo quel momento seppi che sono sempre i deboli, spaventati dalla propria debolezza, a uccidere i forti, e forse capii anche che io stesso facevo parte dei deboli del mondo".f) "Io sono un seme che fluttua nel vento. Perché non mi sono piantato? Perché non ho trovato terra dove mettere radici?"

3. Nicola Manuppelli non è solo traduttore per numerose case editrici, ma anche scrittore; o forse sarebbe meglio dire: non solo scrittore, ma anche traduttore ("Quello che dice una cameriera" è il suo ultimo titolo uscito lo scorso anno con Barney, di cui prima o poi vorrei parlare con lui). Non di meno può vantare il merito di aver portato e reso noti in Italia autori come Andre Dubus, di aver tradotto Sara Taylor, Charles e molti altri. Del 2014 è "La fessura", edito da Barbera: la prima biografia italiana di Alice Munro. Ma Nicola Manuppelli è anche il biografo ufficiale dell'americano Chuck Kinder. Aggiungiamoci che rimane un bell'uomo anche a dispetto dell'effetto artigianale, appunto, di questo video, e insomma... Che vogliamo di più?
È uno di quelli che, quando ci parli, puoi metterti comodo e toglierti il cappello.

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