giovedì 29 ottobre 2020

Le forme varie di Stefano Corbetta

 Sono sincero, non me lo aspettavo. Cioè, non così. Bello bello.

Per me questo romanzo si è accesso subito con il fascio di luce di una torcia, e così è stato per tutto il tempo finché - 

 Avete presente la luce di una torcia in una stanza buia?


"I margini delle cose sfocati (...) tutto sembra sbiadire", come il volto del Ragazzo dell'Oceano. A tratti abbaglia, a tratti sfilaccia. "Luce, buio. Luce, buio. (...) Buio, Luce". 

Interferenze, alternanze. Suoni, silenzi. Fiamme danzanti. Luci nuove.

Si vede quando c'è dietro un lavoro coi cazzi.

#1TonoSoTTOsOpra @Ponte alle Grazie @Stefano Corbetta #LaFormaDelSilenzio

venerdì 17 aprile 2020

Le cose belle che fanno male: Almarina

1. "Alamarina", di Valeria Parrella, Giulio Einaudi Editore, 2019, euro 17,00. Per maggiori info, clicca qui.

2. A un certo punto si legge: "Le cose che fanno male non si capiscono subito". La storia è una di quelle che fanno male mentre ti curano. Quando ho iniziato a leggerlo, ho pensato di salire uno dei tornanti verso Nisida. Ma una volta in cima, la vista a 360° della lingua di Valeria Parrella mi ha tolto il fiato. 
#PremioStrega 🧙‍♀️
#1tonoSoTTOsOpra
@EinaudiEditore

Toni sotto: nada
- Toni sopra: * * * * *



3. Da tenere a mente: a) "C'è un punto della testa in cui i pensieri più atroci, quelli che vengono normalmente ammessi, non solo entrano, ma si sistemano in fila indiana"; b) "Non guardare chi viveva una condizione diversa dalla tua era l'allenamento della borghesia"; c) "Una tazza da sola sul tavolo della mattina non è un motivo sufficiente per svegliarsi. Napoli sì"; d) "E' un principio pedagogico non teorizzato quello di addolcire la realtà, raccontarla meno brutta"; e) "Il pregiudizio è molto antecedente alla realtà. Non c'è più tempo per avere occhi puri, che si facciano un'idea loro: accettare di cambiare opinione significa scomparire. Il massimo che possiamo fare, di queste camere stagne in cui viviamo, è socchiuderne un poco le porte, tenerle accostate per sentire l'altro. E confermarci che è diverso"; f) "La comprensione nasce piano nel profondo, si ridisegna, cambia e approda. L'intuizione ci prende come una freccia al bersaglio, e dopo: devi solo sperare che sia così per tutti, oppure di dimenticartene per sempre"; g) "Voi che giudicate siete disposti a credere ai colpi di fulmine, ma altre forme di amore improvviso vi mettono in sospetto. [...] Invece no, [...] il cuore è opalino e gli esami di coscienza sono per gli infelici";  h) "Non è vero che siamo tutti essere umani uguali perché l'uguaglianza non è una condizione interna dell'individuo, ma si costruisce tra le parti, quando si guardano da lato all'altro di un tavolo"; 

giovedì 16 aprile 2020

Giovanissimi: troppo giovani

1. "Giovanissimi", di Alessio Forgione, NN Editore, 2020, euro 16,00. 
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2. Lo leggi e mentre lo leggi capisci che soffri e ti senti quasi a pezzi e ti sembra di essere un piatto in mano al papà di Marocco, senti che fra poco tocca a te, poteva capitare a te, e vorresti secchi e secchi di attaccatutto per rimediare :

"Aprì le ante dei mobili della cucina e prese i piatti e li scagliò per terra ed io lo guardavo e li vedevo rompersi e vedevo le schegge volare via e disperdersi ovunque. Nel frattempo, urlava ancora, con una vice sempre più forte e dolorosa e debole, ferita, ma sempre senza parole e continuò e quando ebbe finito, quando non rimase nemmeno un piatto, di piegò sulle ginocchia e aveva il fiatone ".

#PremioStrega 🧙‍♀️

@nneditore



Toni sotto: ci penso ancora un po'
- Toni sopra: ***** (tutto il resto)



3. Segna giù: a) "Mia mamma, per alcuni, era una poco di buono; lo sapevo. E loro lo pensavano ed io facevo finta di non pensarlo. [...] Mia mamma, per me, era uno schiaffo in faccia, una ferita aperta. O un fischio nell'orecchio, che saliva e scendeva e disturbava e copriva tutto"; b) "Già. Ci vengo ogni tanto per riflettere su quanto è piccolo l'uomo, quanto grande è l'universo e quanto è immenso l'affitto da pagare se non si hanno i soldi" (cit. da Dylan Dog); c) "magari, nel vedermi, (mia madre) nel pensarmi, le sarebbe tornata la voglia di stare con me, come per quei pensieri che dimentichi di avere, ma che poi te ne ricordi e non puoi più ignorarli"; 

mercoledì 15 aprile 2020

La Febbre di Jonathan bazzi non scende

1. "Febbre", di Jonathan Bazzi, Fandango Libri, 2019, euro 18,50.
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2. Lo leggi così com'è stato scritto:
"A ruota libera e non me ne accorgo:mentre racconto i fatti lontani e vicini (...) qualcosa si scalda, risorge. È così ogni volta che parlo agli altri delle cose che ho vissuto da solo. (...) quest'incontro può avere senso solo se metto ogni cosa sul tavolo"
E anche il lettore si fa un esame di coscienza.
La sfida più grande nel caso di questo autore credo che sarà la seconda opera.



Toni sotto: * (la copertina non mi piace)
- Toni sopra: ***** (tutto il resto)



3. Parte di quanto ho già annotato sul diario: a) "I nostri avatar per somma o sottrazione ci determinano. I nomi mancati di un figlio, la sua storia già iniziata prima di venire al mondo. Le aspettative, i sogni degli altri, la prima missione che ci hanno affidato."; b) "Ho come archetipo relazionale una coppia di nemici: mamma e papà se ne sono andati, di amore tra di loro non ce n'era abbastanza, ma prima che finisse del tutto quel poco di bene che c'era s'è riprodotto. Ha creato me. Io sono il precipitato imprevisto di una storia durata niente. Quello che c'era tra di loro non è scomparso. S'è solo spostato"; c) "La contrapposizione bene contro male è ingenua: ogni cosa che attraversiamo in realtà ha gradi, disegna un paesaggio. La definizione di vette e affossamenti è relativa"; d) "La felicità è un affronto, richiede un bilanciamento"; e) "Si può far finta di niente. Si può essere costretti a dimenticare, per anni. Metterci una pietra sopra, recidere a colpi di volontà un legame che i fatti hanno smentito. Ma le matrici primitive sanno come tornare a fari sentire. L'appartenenza che abbiamo negato è riaffermata dai corpi. Passiamo la vita a pattinare su una lastra di convinzioni accumulate, su uno striminzito strato di idee separate e neutre, controllate, a loro modo tranquillizzanti"; f) "La mente è più pericolosa di tutto ciò che la circonda [...] se è la mente stessa a diventare ostile, dove te ne vai? Cosa affronti, dove ti sposti? Energie in eccesso: liberarle, condividerle, mandarle nel mondo. Altrimenti ti si ritorcono contro"

martedì 13 agosto 2019

Fossi in te... leggerei anche PB

1. "Fossi in te io insisterei, lettera a mio padre sulla vita ancora da vivere", di Carlo Giuseppe Gabardini, A. Mondadori Editore, Strade Blu, 2015, euro 17,00.
Per maggiori info, clicca qui.

2. Per la mia recensione vai alla rivista letteraria PB (Progetto Babele) cliccando qui 

martedì 30 aprile 2019

L'amore comunicato da Davide Mosca

1. "Breve storia amorosa dei vasi comunicanti", di Davide Mosca, Einaudi Stile Libero BIG, 2019, euro 17,50.
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2. La sera della presentazione alla libreria Verso, Davide Mosca all'inizio mi ha colto di sorpresa per via della voce rotta dall'emozione.
Aggiustato in poltroncina col microfono ben stretto in pugno, ha preferito non avere mediatori; neppure il solito tavolino rotondo a segnare un confine con la sala affollata di lettori e di autori, di editori e di agenti; chi seduto, chi all'in piedi: tutti avevano una copia del libro fra le mani, o sulle ginocchia, e tutti erano sprofondati in un silenzio così carico di desiderio da tirar giù il negozio intero. Le parole hanno cominciato a colargli dalle labbra per fluire verso il pubblico schierato, fino a ricoprirlo, fino a spegnere quel silenzio e accendere la curiosità. Alla fine, ho interpretato le sue parole come il rinnovo di una promessa d'amore: amore per la sua professione di scrittore; amore per le storie in genere; amore per quest'opera in particolare; amore per la donna che nel frattempo, dalla prima fila, gli offriva il sostegno di uno sguardo dolcissimo.
Insomma, Davide Mosca è nato per raccontare storie; questo è un principio fisico quanto quello del titolo.
Guarigione, metamorfosi, amore. La sensazione che ho percepito è quella di chi ha passato il confine, di chi ha appena messo piede in un territorio nuovo, di chi ha alzato le vele al vento.
Ecco, in parte, cosa ha raccontato quella sera Davide Mosca a proposito del suo "Breve storia amorosa dei vasi comunicanti". Per comodità, ho suddiviso l'intervento in quattro parti: genesi del libro; trama; temi principali e tecniche; una considerazione scaturita da una domanda del pubblico. 
Alla fine, come al solito, troverete le citazioni da trascrivere sul vostro diario.


D.M.:
[il corsivo nero è mio]

Genesi - Come sono arrivato a questo libro? 
Il libro parte da quando avevo vent'anni. In prima liceo avevo pubblicato il mio primo romanzo per una piccola casa editrice toscana, ma cadde totalmente nel vuoto [lo dice sorridendo, ma commosso dal ricordo] e quando lo rilessi, a distanza di anni, capii che forse era meglio così, perché non era un buon libro: c'era una grande voglia di scrivere, ma non c'era una storia. Volevo essere poeta, ma come si suol dire: bisogna essere prima poesia; cioè, prima bisogna avere una storia da raccontare. E questo schiaffone che presi mi insegnò una certa umiltà, capii che il mio ombelico non era il centro del mondo. Poi all'università mi innamorai della storia, iniziai a scrivere romanzi storici, e quelli sì, ottennero un discreto riscontro, ma a un certo punto smisi di scriverli. Avrei dovuto scrivere una trilogia, ma scrissi solo due volumi. Le persone mi chiedevano: "Ma il terzo quando lo scrivi?", ma io non me la sentivo più, perché avevo avvertito un distacco. Un giorno, stavo scrivendo una scena di guerra e pensai: perché devo scrivere di guerra? Io non ci credo più! Quindi, se fino a poco tempo prima mi ero divertito a farlo, in quel momento capii che se avessi scritto un altro libro di quel genere mi sarei sentito inautentico... Nel frattempo avevo sviluppato altre passioni: il noir, il thriller, e sono passato a scrivere questi altri generi, anche se sempre a modo mio: senza sangue, senza morti e senza violenza, che sono cose che non mi hanno mai interessato. Finché a un certo punto mi sono reso conto che sarei potuto andare avanti tutta la vita a scrivere buoni libri solo col mestiere, ma non era quello che volevo, non volevo il puro entertainment fine a se stesso. 
Nessuno ha la pretesa di cambiare il mondo con un libro, naturalmente, ma volevo scrivere qualcosa che almeno cambiasse me stesso, e alcune delle persone che mi leggevano; mi sembrava doveroso farlo. 
Avevo questa storia dentro, da tanti anni, ma non mi sentivo mai pronto. Poi, una sera (a quei tempi vivevo con la mia compagna in una vecchia casa non lontano da qui), lei [indica la fidanzata seduta in prima fila] era seduta sul nostro piccolo divano sfondato, il divano più brutto che abbia mai avuto, e ho scritto dieci righe, e poi ho detto: "Guarda, vorrei scrivere questa cosa, tu cosa ne pensi?" E lei lesse le dieci righe [esattamente le prime righe del romanzoe mi disse: "Devi farlo assolutamente. Non devi fare più nient'altro, se non questo".
E allora da lì ho raccolto la forza per ricominciare a credere in me stesso, per cominciare quest'avventura. La prima parte è stata abbastanza dolorosa, perché ho attinto ad alcuni ricordi personali. Poi, piano piano, mi sono lasciato andare e ho scritto quasi senza "preoccupazioni estetiche", con completo trasporto, senza reticenze e retropensieri. Ricordo che la seconda parte, invece, l'ho scritta mentre eravamo in viaggio in Russia, fra treni e aerei, e sentivo una grandissima gioia dentro, un flusso continuo come non mi capitava da tantissimi anni; si può dire che l'ho scritta in una settimana facendomi trasportare completamente dalla storia. Pensavo che Kerouac mentisse, quando diceva di aver scritto "On the Road" in una manciata di settimane, invece mi sono reso conto per la prima volta dopo tanti anni che anche in una settimana si possono scrivere sessanta, settanta belle pagine; o almeno spero che siano belle anche per voi. E così è cominciata anche la seconda parte della mia, dato che, fra le altre cose, proprio quest'anno ho compiuto quaranta anni.
Per quanto riguarda il titolo: io sono sempre stato un pessimo titolista, ma questo è venuto in mente a me, e mi piace, ci sono affezionato, perché racconta qualcosa del libro.
Trama - Per parlare dei miei "Vasi comunicanti", ecco, ho pensato di fare una specie di dizionario, di individuare alcune parole chiave. Ma andiamo con ordine: abbiamo un ragazzo [Remodi circa ventiquattro anni, che ha passato quasi per interezza gli ultimi due chiuso in casa, a mangiare e a scrivere; è diventato un obeso; è depresso; è un uomo che ha chiuso i ponti con tutto, anche con se stesso. Finché a causa di un mal di denti è costretto a rimettere il naso fuori, a frequentare un pochino gli altri e riprendere a vivere, almeno un minimo. Molto timidamente. E in una di queste rare occasioni in cui esce di casa, conosce questa ragazza [Margheritache è all'ultimo anno delle superiori e che sembra tutta'altro che depressa; è molto energica, studia, lavora nel ristorante di famiglia, litiga con tutti, ha un sovraccarico di vita, ma galleggia sulla soglia dell'anoressia. Quando si conoscono lei pesa a malapena quarantacinque chili; lui invece veleggia sopra i novanta chili. E cominciano a frequentarsi per il puro gusto di farlo. 
I "vasi comunicanti" c'entrano proprio perché, per una sorta di magia, quello che lui a mano a mano perde di se stesso e del proprio corpo, salta nel corpo di lei; lui si assottiglia, e lei riprende peso. 
Tema e tecnica - E adesso veniamo al dizionario, alle parole chiave di questo romanzo. Questo non è un romanzo a tesi; è una storia. Però è chiaro che raccontando una storia saltano fuori sempre tante altre cose. 
La prima parola del dizionario di questo romanzo è Aspettativa: è l'aspettativa che ci fa deragliare. Gli altri hanno aspettative su di noi; noi abbiamo aspettative su noi stessi. Ecco, il protagonista è un ragazzo normale, uno che andava bene a scuola, che lavorava, che aiutava in casa... Insomma tutto sembrava andare abbastanza bene, ma a un certo punto si accorge che gli altri hanno tracciato dei confini che lui non riconosce più, si sente ingabbiato, ha paura di deludere gli altri e se stesso. Quindi, come spesso succede, decide di "barattare tutti i suoi guai con un unico grande guaio": si chiude in casa e pensa che riuscirà ad accontentare tutti, la famiglia, la fidanzata, che riuscirà a dare una svolta alla propria vita scrivendo un grandissimo romanzo, un romanzo che metterà tutte le cose a posto; solo che niente va a posto, anzi tutto va in pezzi. E così finisce quasi per boicottarsi.
E a questo punto arriviamo alla seconda parola cardine del romanzo, che è la Crisi: la crisi è qualcosa con cui tutti facciamo i conti nella vita. Inutile pensare di schivarla. I mistici la chiamavano "il deserto". È facile dire che ogni crisi è una possibilità; è facile dirlo quando ne sei fuori, ma è tutt'altro quando ci stai dentro. Cosa possiamo fare quando siamo in crisi? Che cosa fanno i miei personaggi in crisi? Be', aspettano. Le crisi funzionano così: comportano una perdita d'identità, e ogni crisi ha i suoi tempi, e noi possiamo solo aspettare; magari è meglio se aspettiamo con attenzione, ma è l'unica cosa che possiamo fare. E i miei protagonisti aspettano, vivendo la loro crisi nel corpo. Il mio protagonista si accorge che di colpo tutto è diventato più piccolo, perché il suo corpo è cresciuto, quindi ecco che per esempio i sedili dell'aereo sono più piccoli, tutti gli spazi si rimpiccioliscono. Ma nel contempo le distanze si allungano, perché per un corpo di centoventi chili qualsiasi passeggiata diventa un problema. Quando sei così grasso sei ipervisibile, e allo stesso tempo sei invisibile; vale a dire che per gli altri sei il grassone di turno, sei fuori dai giochi, sei ai margini, eppure non passi inosservato... E allora, qual è la risposta a questa sorta di schizofrenia? La soluzione sembrerebbe essere sempre il cibo:  "l'unico grande guaio". Mangiando pensi di avere lo sfogo per ritrovarti, ma è chiaro che in realtà è un circolo vizioso. La soluzione vera invece, come sempre, è un incontro. Quando incontriamo qualcuno incontriamo sempre una parte di noi, il nostro lato ombra, quello che rifiutiamo. E così, ecco che due persone s'incontrano e si legano in un'amicizia dai contorni sfumati. Lei [Margheritavede qualcosa in lui [Remo]: scorge la sua attenzione, l'attenzione che lui ha per lei; vede che lui è realmente interessato a lei, e anche se il cibo è il loro debole, non parlano mai di cibo: Loro semplicemente... si toccano. Pur tra mille impacci, ognuno fa riscoprire il corpo all'altro. Così, attraverso l'ascolto, attraverso l'attenzione e attraverso il corpo, i vasi comunicanti iniziano a funzionare. 
E a questo proposito, ecco una delle tecniche che ho usato per scrivere questo romanzo: all'inizio della storia il passato ha lo stesso peso del presente; però man mano diminuisce, fino ad arrivare a metà del romanzo, dove la storia subisce una svolta e il passato smette di pesare, o quanto meno si assottiglia fino a ricomparire solo ogni tanto, qua e là. 
E qui arriviamo a un'altra parola chiave, che io adoro, e che è Convalescenza: la convalescenza è una delle chiavi della vita; è quel passaggio, che tutti abbiamo provato, fra la malattia e la guarigione. Quando sei in convalescenza senti di avere addosso la malattia, eppure senti che stai guarendo, ed è qualcosa di incredibile. Si può credere alla resurrezione solo durante la convalescenza, perché la compresenza di morte e vita possiamo avvertirla veramente sul corpo solo durante questa fase. Non ci si sente mai così bene come nel primo giorno in cui ci sentiamo bene. L'idea è che la primavera in qualche modo torna sempre. Anche le crisi sono cicliche, tornano, ma poi la primavera in qualche modo arriva sempre, e ce ne accorgiamo dal fatto che abbiamo più attenzione per gli altri, non siamo più concentrati solo su noi stessi...
È una storia d'amore, o no? - Il rapporto dei due personaggi rimane volutamente molto imprecisato, perché la vita non funziona così, non è che puoi guarire solo se t'innamori di una persona. Quella fra Remo e Margherita, alla fine, è un'amicizia sfumata che permette loro di entrare in contatto con una parte di sé che prima non accettavano, una nuova idea di sé. I due parlano (soprattutto lei, mentre lui ascolta), passeggiano, spesso rassettano insieme - si tratta di gesti semplici, materiali, concreti, che però comunicano energia. A suo modo potremmo dire che è una storia d'amore, ma non la solita storia d'amore. È la storia di un'amicizia, ma anche l'amicizia è una forma d'amore. L'idea è quella di non fissarsi su un'idea statica di se stessi.


Toni sotto: se ne trovate, fatemelo sapere
- Toni sopra: *****

3. Segnatevele: 
a) Ci sono momenti [...] in cui cominci inspiegabilmente a trovare gusto in cose che avevi sempre disdegnato. Ebbene, in quei momenti puoi star certo che qualcosa è in serbo per te; b) Il guaio di alcuni è che credono di voler essere romanzieri quando in realtà desiderano essere romanzi; c) In fondo è questo che chiediamo alle persone a cui teniamo. Una storia. [...] E fin quando le storie continuano, è come se la realtà non esistesse più; d) Ciascuno possiede la medicina per le malattie altrui; e) Forse la vita pone le vere domande proprio a chi crede di non avere le risposte, affinché corra a cercarle; f) Mi sento di valere poco, ma di poter fiorire ovunque; g) Gli esseri umani non fanno molti errori, ma lo stesso errore molte volte; h) Se torni in un posto con la stessa persona significa che c'è una direzione, per quanto ignota. E' proprio il ritorno a caratterizzare ogni partenza. Tornare al punto di partenza per vederlo con occhi nuovi. E' quello che ci succederà quando torneremo in paradiso, pensavo; i) Il primo passo non ti porta dove vuoi, ma ti toglie da dove sei; l) L'ombra è il tuo peggior nemico, fino a che non capisci che è il più prezioso degli amici. E' l'ignoto, l'unica terra in cui potrai davvero essere felice, perché la smetterai finalmente di essere quello che credi di essere. Non la raggiungerai mai finché non aprirai gli occhi per riconoscerla sotto i tuoi piedi; m) La gioia non si misura, anzi si trova solo nell'assenza di misurazioni. Era quello che avrei voluto dirle, ma non sarebbe servito. Avevo imparato che le uniche parole che funzionano non sono quelle che si pronunciano, ma quelle che si vivono.

mercoledì 20 febbraio 2019

Sotto il cielo di Roma: Nicola Manuppelli


1. “Roma”, di Nicola Manuppelli, Miraggi Edizioni, 2018, € 18,00

Per la sinossi e ulteriori informazioni come al solito basta andare alla pagina dell'editore.

2. Roma è una serie di storie cucite insieme da Tommaso, il protagonista, in un inno colorato alla vita che avvolge e scalda, sebbene non tutte le storie che riporta possano dirsi felici. 
Chi ha vissuto a Roma almeno per un breve periodo amerà sicuramente questo romanzo. 
Chi non ci è ancora stato perché conserva una qualche ritrosia, con questo romanzo imparerà ad amare la città eterna. 
Non si può non scrivere di Roma, a dispetto di ciò che si dice, cioè che col tempo Roma è peggiorata (secondo me è vero), che non è più la Roma di una volta (quale città è ancora quella di una volta oggi come oggi?). 
Il romanzo di N.M. vale senza dubbio anche come guida turistica, con tutti quegli aneddoti su alcune zone della città e indicazioni di ristoranti e trattorie, ricette, canzoncine (non ho potuto trattenere una lacrima quando ho letto il riferimento all'Hostaria che c'era un tempo all'ombra della Sedia del Diavolo, nel quartiere africano).   
L'intento dell'autore è annunciato dalle tre citazioni in esergo, quindi prima di entrare in Roma e appena passato il frontespizio, passate a prendere queste tre chiavi di lettura.
Roma illude il lettore di aver detto tutto già nell'incipit, con quel "Dunque". E lasciatemi raccontare, visto che si parla di aneddoti romani, del mio professore di glottologia, all'università La Sapienza, che era il terrore di noi studenti di Lingue e Letterature Straniere. Si diceva che ce l'avesse con noi perché avevamo la pretesa di studiare le lingue straniere senza conoscere nemmeno l'italiano. Ebbene, capitava che uno studente si sedesse, ascoltasse la prima domanda e rispondesse iniziando il discorso con quello stesso "Dunque" con cui N. M. ci introduce alla sua storia. Allora il professore non li faceva nemmeno finire di parlare questi studenti che usavano il "Dunque" così... "Dunque, cosa?" strillava "Non si comincia un discorso con 'dunque'!", e li bocciava.
Secondo me il "Dunque" di Nicola, al contrario, sortisce il suo effetto magico.

Durante la nostra ultima video chiamata N.M. è tornato su questo "Dunque", e ha chiarito perché ha deciso di iniziare il suo romanzo proprio dall'episodio ormai famoso del dildo; insieme abbiamo parlato delle tecniche narrative e del montaggio, della scena che personalmente ho gradito di più (ambientata a Milano, prima che il protagonista Tommaso parta per Roma); del suo lavoro di editing e delle scene tagliate; dell'eventualità che Roma diventi un film e dei registi che preferirebbe ingaggiare.
Per finire abbiamo fatto il giochetto di commentare alcune citazioni scelte dal suo romanzo,
Molto altro potrete sentirlo dalla sua viva voce ancora durante Book Pride 2019.

   
(sottotitoli generati automaticamente per la lingua italiana)


Toni sopra: ****
- Le citazioni per il mio diario:
 a) "In un uomo devi guardare le mani, in una donna la voce"; b) "Lo sbaglio che si fa da ragazzi [...] è che si pensa di diventare subito ciò che si è"; c) "...ero innamorato. Ma come per tutto quanto il resto, il mio sentimento era privo di un oggetto. Ero innamorato e basta. Avevo quel sentimento addosso e sapevo che dovevo riversarlo su qualcuno, ma ero troppo timoroso[...] per lasciarlo esplodere e così lasciavo che mi stordisse anche lui, e scappavo quando mi si poneva di fronte la possibilità di chiarire le cose. [...] Ero innamorato ma mi mancava l'amore"; d) "Roma è una città di arrivi. Si arriva a Roma sempre giovani e d'estate"; e) "Non credo che esista un destino segnato ma che il destino stesso giochi a darci delle avvisaglie per farci capire cosa succederà. Sta a noi decidere se seguirle o opporci e rimodellare il nostro futuro. In un certo senso, sono sempre stato uno che si fa trascinare dalla corrente"; f) "E' una debolezza che abbiamo noi che siamo nati con una vena malinconica credere che al nocciolo delle nostre azioni ci sia uno scopo; vedere la necessità di un'evoluzione dove altri cercano la stabilità. Non mi accontentavo di stare a galla, volevo nuotare, solo che mentre sbracciavo mi chiedevo dove fosse la riva"; 

3. Nicola Manuppelli con questo romanzo rivela una sensibilità che di solito ho l'impressione lui tenda a nascondere dietro un sorriso diffidente.
Non riesco io, invece, a nascondere la mia ammirazione per queste sue parole, che suonano come un manifesto: "...la vedo come una cosa bellissima, la vita, e siccome ho questa predisposizione buona, spero possa essere ricambiata. Non sono una persona coraggiosa, però rischio cose, dicendomi che in fondo ho una buona stella. Credo che se uno si asseconda e crede fermamente nelle cose che fa, la fortuna se la procura"
La precedente intervista a Nicola Manuppelli per 1 TonoSoTTOsOpra la trovate qui.