martedì 12 dicembre 2017

In sostanza, jÖrg Fauser


1. "Materia prima", di Jörg Fauser, L'Orma Editore, 2017, traduzione di Daria Biagi, euro 14,40. 
Per maggiori info, clicca qui.

2. Dopo la recente scomparsa di Delfina Vezzoli, mi accosto al mondo dei traduttori ancor più in punta di piedi. Già, perché anche questa volta farò ricorso all'aiuto di una traduttrice strepitosa per parlare di un'opera il cui autore è morto, purtroppo, già nel 1987. 
Lei è Daria Biagi. Forse un po' timida, certamente gentile, mi ha accordato un'intervista scritta che riporto di seguito al fine d'intuire (almeno intuirle) le difficoltà poste dall'approccio a un testo semplice solo in apparenza, come afferma lei stessa. 
Questo è un romanzo fatto di stambugi, di buchi e di celle, di tentativi di non soccombere, e di paura. Paura di non farcela.
Il romanzo mi è stato consigliato tempo fa dal direttore della Libreria Verso, lo scrittore Davide Mosca. 
Ragazzi, fidatevi dei vostri librai indipendenti!

Ecco a voi l'intervista:

1TsS.:

 "Materia Prima" è stato pubblicato in Germania nel 1984, ma è arrivato in Italia solo adesso. Capita spesso ed è capitato già in passato che capolavori della letteratura straniera siano arrivati con molto ritardo ai lettori italiani. Un lato positivo di questo ritardo è sicuramente la possibilità di riceverlo con una Sua traduzione e postfazione molto curata. 

D.B.:

Non so se parlerei davvero di ritardo, tutto sommato le traduzioni sono più l’eccezione che la norma. Perché un libro venga tradotto devono crearsi molte condizioni – a cominciare dal fatto che qualcuno se ne deve interessare, un editore, un traduttore, magari uno scrittore. I contesti letterari sono diversi da paese a paese, non seguono necessariamente gli stessi filoni d’interesse nello stesso momento. Nel caso di Materia prima immagino abbia avuto un peso il fatto che Fauser è stato a lungo anche in Germania uno scrittore amato da pochi, estraneo ai circuiti dell’industria culturale che rendono più automatica la selezione dei libri da tradurre. E per i lettori italiani il romanzo aveva l’aggravante di rientrare nel panorama della letteratura tedesca, che soffre dello stereotipo di essere sempre e comunque pesante.

1TsS.:

 "Materia Prima" è definito oggi "capolavoro della controcultura tedesca" a dispetto della critica contemporanea all'autore che l'aveva stroncata. Il romanzo è molto denso, ricco di rimandi e citazioni. Come ha accolto la richiesta di traduzione da parte dell'editore?

D.B.:

 Con totale incoscienza. Alla lettura il romanzo sembra – era sembrato anche a me – molto più semplice di quanto non sia in realtà, sia dal punto di vista della lingua che del ‘contesto di genere’, citazioni eccetera. Mi sono resa conto del guaio in cui mi ero cacciata solo quando ho iniziato davvero a tradurre.

1TsS.: 

Quanta fatica Le ha richiesto in termini di tempo e di ricerche, e dall'altra parte quanto si è divertita (qualche aneddoto riguardo a espressioni particolarmente ardue da rendere in italiano)?

D.B.:

 La ricerca è la parte più interessante del lavoro di traduzione, quando si ha la possibilità di farla. Ho avuto la fortuna di svolgerne una parte in Germania, grazie a una borsa del Literarisches Colloquium di Berlino. Le conversazioni con Alexander Wewerka, l’editore tedesco di Fauser, e con Matthias Penzel, che insieme ad Ambros Waibel ha scritto una sua biografia, sono state indispensabili per risolvere molti dubbi relativi al contesto del tempo, quello studentesco e quello delle case occupate. La ricerca serve soprattutto a ri-immaginare il mondo in cui una storia si svolge. C’è per esempio un personaggio minore, Bramstein, il Germanistikstudent che aiuta Harry Gelb con la rivista underground: sarebbe uno “studente di germanistica/di letteratura tedesca”, ma in traduzione è sempre lo “studente di lettere”, perché il mondo che deve far venire in mente è quello che associamo automaticamente a questa definizione (Bramstein è pallido, ha i capelli lunghi, scrive poesie). Alcuni termini erano complicati da rendere perché legati a un contesto locale molto preciso, come il berlinese Kodderschnauze di cui ho parlato nella postfazione (alla lettera qualcuno che ti guarda o risponde male senza motivo, “Schnauze” è un brutto muso, un grugno), una parola che basta da sola a evocare scenari di truci scontrosità metropolitane (nella mia traduzione mentale era molto prossimo al concetto romano di “me sta a imbruttì”). Il lavoro sull’italiano ha richiesto altrettanto tempo. Fauser è precisissimo, ad esempio, con tutto quello che riguarda l’uso delle droghe, i nomi, gli effetti. Un lessico adeguato serviva per le descrizioni di Istanbul, dove un “Teehaus” non poteva diventare una “sala da tè”, che fa pensare a qualcosa di molto più elegante. Molte ricerche si possono fare su internet ormai, ma alla fine un traduttore deve anche andare in giro a fare domande “strane” a chi usa quotidianamente certi linguaggi, e questa è una parte curiosa del lavoro, obbligarsi e obbligare gli altri a riflettere su parole ed espressioni che sono ovvie solo finché non ci si pensa.

1TsS.:

 Per questo lavoro si è confrontata anche con i traduttori che hanno curato le edizioni pubblicate in altri Paesi?

D.B.:

 No. Ho letto alcuni capitoli dell’edizione inglese.

1TsS.:.

Qual è l'aspetto della narrativa di J.F. che ha ritenuto dovesse giungere a tutti i costi al lettore nel pieno della propria potenza?

D.B.:

 L’autoironia, un’ironia al limite dell’autodistruzione. Soprattutto perché senza di essa molti passaggi del libro rischiavano di diventare moralistici o nostalgici. Il narratore prende le distanze un po’ da tutti gli ambienti che racconta e contemporaneamente Harry Gelb e compagni sono sempre serissimi, come per esempio nella scena in cui mettono in piedi la rivista “politicamente scomoda”. È come se l’azione fosse vista da dentro e da fuori allo stesso tempo. In altri casi è un’ironia fatta di elementi legati al contesto locale, minimi: quando Gelb decide di chiamare il suo secondo libro Schmargendorf City Blues già il titolo si porta dietro tutto l’equivoco di cui è vittima il personaggio, che si comporta come se vivesse a Chicago o a New York mentre tutto si svolge a Schmargendorf, un quartiere semisconosciuto di Berlino ovest. Ma la forza del romanzo sta qui, in questa specie di “prendersi in giro seriamente”.

1TsS.:

 La struttura e il ritmo dell'opera sembrano essere costruiti su note blues. Ho trovato tanti "diavoli blu" fra i personaggi di questa storia... (una riflessione)

D.B.:

 Sì, ma diavoli blu di Schmargendorf, appunto.

1TsS.:

 Qual è la caratteristica della scrittura di J.F. che più ha reso e rende in generale difficoltosa la sua traduzione?

D.B.:

 Il fatto che molte frasi sono volontariamente storte, anche “brutte”. Quando si vuole parlare bene di una traduzione si dice sempre che scorre, che fila. Il problema è che non tutti i romanzi “filano”, e renderli scorrevoli li snatura. Fauser fa di tutto perché la sua scrittura non risulti ricercata, perché il tono sia sempre come improvvisato, a volte anche sciatto – per esempio nei dialoghi, che sono tutto un “lui disse”, “lei disse”, “lui disse”, come nei gialli americani degli anni Sessanta che lui amava. Era difficile trovare un equilibrio: uno scrittore può permettersi questa libertà, per un traduttore è più complicato. Non ne sarei venuta a capo senza il lavoro di revisione, che è qualcosa di invisibile eppure indispensabile: il revisore – che in questo caso è poi anche l’editore del libro – aveva a volte idee diverse dalle mie, e molte soluzioni sono nate dalla discussione, dal disaccordo.

1TsS.:

 Il mondo descritto da J.F. è un luogo spesso avvilente, nessuna fatina disposta a realizzare i tuoi desideri, e la serenità di una vita tranquilla è sotto attacco, in continuazione. Non ci sono ideali politici che tengano. L'unico valore universale per il protagonista è la scrittura. Potrebbe essere lei la vera protagonista di questa storia?

D.B.:

 Immagino che su questo ogni lettore possa dire la sua. Per Fauser la scrittura rientra comunque in quell’impasto di materiali grezzi che sono una specie di cosa unica, quello che chiama Rohstoff, la materia grezza, la ‘roba’ di cui si scrive, la droga, la concretezza, il groviglio da cui partire insomma.

1TsS.:

 Però sono molti anche i momenti in cui si ride, anche se spesso di un riso amaro, volto anch'esso a mettere in evidenza la disperazione dell'uomo e la sua volontà di sopravvivere, sempre e comunque. Sarebbe giusto affermare che J.F. ha ritratto la natura vera della vita?

D.B.:

 Il libro è comico in molti punti, e in effetti è qualcosa che ha a che fare con una volontà quasi ottusa di rimanere in vita a ogni costo. Se poi questa sia la vera natura della vita… temo di saperne quanto lei.

1TsS.:

Questo romanzo fa parte della prima produzione di J. F., che da un certo punto in poi della sua carriera si è dedicato a un genere più vicino a quello della così detta Detective Fiction, ma anche Pulp. Quanto cambia la scrittura di un autore negli anni! Chissà se JF avrebbe mai ammesso di aver trovato finalmente il proprio "posto/ruolo nel mondo"...

Toni sotto: * (perché alla fine del volume non ci sono abbastanza pagine bianche per prendere appunti)
Toni sopra: *****
- Le citazioni trascritte sul mio diario: a) "Eccoci qua, noi falliti, a tenere d'occhio la proprietà altrui senza essere capaci di tener d'occhio neanche noi stessi"; b) "Io, però, avevo bisogno di materiale per scrivere"; c) "Un lupo solitario con gli occhi iniettati di sangue, e con quelli andava alla ricerca di una possibilità di sopravvivenza in un mondo che da tempo gli aveva fatto capire che tutte le possibilità erano finite."; d) "Immaginavo che arebbe stata dura per me, ma nessuno viene al mondo già scrittore. Scrittori si diventa."; e) "Io volevo smettere di scrivere una volta per tutte. Mi sembrava [...] uno sforzo decisamente presuntuoso di mettere tra me e le cose che ogni giorni mi si presentavano di fronte una terra di mezzo, un mercato nero di sentimenti, valori, deisderi [...] ogni frase che ostentasse di avere qualcosa da dire riusciva solo a risultare volgaree ridicola allo stesso tempo. E poi volevo combinare qualcosa nella vita"; f) "Com'è che diceva Faulkner? 'Rapinerei mia nonna, se mi servisse a scrivere'".

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